Chiara Olmi, in arte Rol, varca le soglie del disegno e della pittura da autodidatta. Pone da subito l’accento della sua poetica sull’introspezione psicologica foriera di uno spirito esagitato. Il fatto di imprimere il proprio sé con il nome Rol, ispirato al maestro spirituale Gustavo Rol, assomiglia più ad un battesimo della coscienza, una rinascita, che ad un semplice atto di marketing. Se si potesse esaurire il complesso legame che Olmi ha creato con Rol, potremmo dire che per entrambi la spontaneità dell’azione è ineludibile, come fossero mossi da entità imperscrutabili. Per Rol – riferimento che da adesso sarà esclusivo ad Olmi – l’arte è più che mai un’esigenza; è l’indispensabile strada per essere compresa, per riconoscersi nella catarsi dello spettatore non solo come artista ma anche come donna. Difatti, il modus operandi di Rol è caratterizzato dall’immediatezza; è un elegante flusso di coscienza durante il quale non vi sono grossolane alterazioni di informazione e, dunque, tutto ricade entro il raggio dell’archetipo. L’esigenza di Rol ad esprimere il dettato dell’inconscio richiama quelle soluzioni formali di semplice sintesi dell’arte rupestre, dei moai, dell’
idolo di tipo canonico dell’arte cicladica, nella cromi apura e in netto contrasto dell’altare de los muertos.
E ciò non è un caso dato che le culture arcaiche applicavano la creatività ai riti sciamanici, alla trance, alla magia, e a tutte quelle pratiche adoperate per conoscere sé stessi. In questi ambiti l’essenza prevale sul virtuosismo del dettaglio, e allora ecco che i colli si allungano, le sopracciglia fioriscono, il colore è utilizzato in purezza.
Se è vero che come affermava Proust “ogni lettore, quando legge, legge se stesso”, le opere di Rol offrono fotogrammi di storie ricostruibili a partire dalla coscienza stessa dell’osservatore. Dato che per Jung il simbolo non va oltremodo intellettualizzato, sta dunque a noi sentire il colore e le forme. A volte potrà essere un’aderenza immediata al nostro inconscio, altre sarà necessario attendere, fermarsi un ulteriore momento per carpire le evocazioni, per cogliere la risonanza emozionale. Le composizioni di Rol
recuperano il linguaggio della poesia per raccontare l’amore, le battaglie, la pace, i rimpianti. Questa grammatica visiva libera contenuti condivisi da tutti noi. Non è certo necessario un background neuroscientifico per riconoscere in Nina il tormento del cuore: l’amore non lo tiene più tra le mani come Dafne; non è più un cuore di passione ma dolore nero che gli si chiude in gola; è angoscia; è abbandono.
Un ricorrente elemento iconografico sono gli occhi delle sue figure femminili. Lo sguardo è assente. Possiamo supporre che sia un invito ad osservare dentro noi stessi, a scavare nelle profondità di un gesto, di un sentimento, come nel più cruento incipit di Un chien andalou.
Le anatomie stilizzate richiamano alla semplice complessità dell’archetipo junghiano: le braccia sintetizzate in un semicerchio rimandano alla raccolta meditativa, alla completezza; l’abbraccio fetale all’affetto profondo; la de-saturazione cromatica proietta in un clima di angoscia e dolore. Tranne motivate eccezioni, sono assenti dalla composizione elementi architettonici, e ciò sembra rafforzare il piano metafisico, senza tempo. È la coscienza di Rol che muove la mano; la raffigurazione si distacca immediatamente dal canone di Policleto – linguaggio poco consono a descrivere l’essenza delle cose – e le soluzioni iconografiche sono attribuibili al bacino comune all’arte di tutte le culture tribali, in particolare di quelle sviluppatesi tra un tropico e l’altro. Sembra che Rol si rifaccia, forse inconsapevolmente, a questa matrice estetica.
Sembra esserci un nesso anche all’anatomia di Modigliani e di Brancusi. Non sappiamo quanto sia stata influenzata dai maestri del passato. Resta comunque vero – e questo a noi interessa – l’approccio di Rol nel far sì che la ricerca materica non sia altro che l’opportunità di mostrare l’essenza del messaggio attraverso la semplificazione delle forme, spogliate quest’ultime da ogni superfluo elemento. La poetica di Rol non ha collocazione temporale e non chiede di essere incasellata in uno dei nuovo movimenti artistici. Le sue opere hanno radici nell’umana coscienza, la quale, come nell’universo di Bohm, è leggibile e compresentenel passato, nel presente e nel futuro.